1 ottobre 2015

BIRRA - one shot

Un’altra birra.
Poi un’altra, e un’altra.
Il rumore del whisky nelle orecchie non accenna a placarsi.
Il ronzio, fastidioso e insistente, dei miei pensieri che rimbalzano nelle pareti interne del cranio permane. È quasi uno schiocco. Da un lato all’altro. Sckiock.
E poi ancora: sckiock!

E la testa intanto vola -immagini sconclusionate- da un pensiero all’altro.
Come una citazione. Di cosa? Inconcludenti, inutili, i miei pensieri.

In compenso, con mia grande soddisfazione, il mal di testa aumenta.
Lo stomaco inizia a ribellarsi alla quantità di liquido ingurgitata.
Dovrei mangiare qualcosa, prima di sentirmi davvero male.
Il mondo ondeggia vagamente. Già da un po’.


Ne ordino un’altra.

Intanto che aspetto, cerco di farmi largo verso il bagno.
Devo vomitare, mi sa. E anche abbastanza presto.
C’è gente, ma in queste condizioni non posso permettermi il lusso di farci caso.
Viro a destra, ondeggiando, passo davanti a un paio di persone in fila che protestano, rumoreggiano. Cerco di proseguire, finché un tizio (c’è sempre un tizio!) mi afferra per una spalla e mi costringe a girarmi, ruotando su me stesso. Dove cazzo credi di andare?
E non riesco a dirglielo. Ci provo, giuro, ma non faccio in tempo. Lo capisce ugualmente, immagino, mentre gli vomito sulla camicia. E sulle scarpe. Ops! Gli occhi bassi, guardo quelle scarpe su cui ho appena vomitato. Il tizio è grosso. Più di me. E in più sono troppo ubriaco, in questo momento. Mi pulisco in qualche modo sulla manica (la mia, non la sua) e alzo lo sguardo ebete, incontrando i suoi occhi. Lo so, che non è opportuno, ma non riesco a smettere di sorridere. Non credevo – gli dico – speravo solo di fare in tempo… ma grazie lo stesso: adesso mi sento molto meglio.
E come era facile aspettarsi, il pugno mi arriva diretto in faccia, e mi sbatte dall’altro lato del corridoio. E lì, lentamente e quasi incosciente, proprio come un idiota, mi accascio.
Fanculo, penso. Tanto non avrei potuto evitarlo.
E mi lascio cadere.

Scivolo, sprofondo come dentro di me, e il pavimento che non arriva mai.
Alla deriva, mi lascio cadere giù e giù e ancora più giù…

Fanculo, mi dico.
E continuo a cadere.

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