...finalmente ho letto "La Galaverna".
Detto così suona piuttosto ridicolo, essendoci il mio nome alla voce "editing", ma è la verità.
La cosa richiede una piccola premessa: ci sono lavori che vedi troppo a lungo troppo da vicino, cui sei troppo "dentro" -in senso figurato quanto quasi fisicamente- per riuscirne ad avere una visione d'insieme.
Lo seguo montare e crescere da anni, questo libro, ben prima che fosse un libro.
L'ho conosciuto che era piccolo così, ancora disegni sparsi su quaderni e taccuini.
Ne ho disegnato il primo plagio che ancora nemmeno sapevo fosse una storia, o avesse un titolo.
Ne ho sentito parlare -ne abbiamo parlato- per anni, e ne avevo scansionate già tre versioni (di cui una a colori acidissimi), prima di lavorare sull'ultima.
E poi è arrivata questa. Ma è arrivata grande, enorme. E tutta insieme: centocinquanta tavole più grandi di un A3 (circa 4 volte quelle del libro). Centocinquanta tavole da scansionare a pezzi e rimontare. Su cui lavorare. E lavorarci da vicino.
Da dentro (fisicamente, proprio).
Le ho viste, lette e controllate più volte, centimetro per centimetro.
Ma ho visto la trama della carta, più che quella del libro.
Il libro l'ho preso in mano per la prima volta a Lucca: mi è sembrato piccolo piccolo, delicato... l'ho a malapena sfogliato: interessante. Si teneva bene in mano. Bella la copertina. Belli i neri, l'insieme esteticamente funzionava, i segni e i disegni si leggevano bene... ma lì mi sono fermato. Ho aspettato.
Da Lucca ho preso vari treni: sono andato a Bologna, a Padova, ho fatto le mie cose, quelle che dovevo fare. Il libro era con me, ma non l'ho aperto. Con un altro treno sono tornato a Roma, a casa. Ho pensato ad altro, fatto altro... ho lasciato passare il tempo.
Tutto quello che serviva.
Che mi serviva.
Poi ho ripreso in mano "La Galaverna".
Come per caso, sovrappensiero, l'ho aperto e letto tutto d'un fiato. E tutto d'un fiato è scivolato via.
Ti trascina, come un fiume. Come la corrente del fiume che scorre sotto il ponte. Quel fiume che continua a scorrere lungo tutto il libro, avanti e indietro nel tempo, tanto da sentirne quasi il rumore.
Per la prima volta l'ho visto letto e assaporato tutto insieme.
E ti arriva. E si capisce. Cazzo, se si capisce. Anche quello che non si capisce, si capisce. E si capisce anche il perché non si capisce, tanto che ti sembra di capirlo che c'era ancora qualcosa da capire e che "ah, ma allora era così?" "e i nani? e i guardiani dell'albero? e lascia l'ascia? era prima o dopo o durante? era tutto vero? era nella sua testa? ci sono mai stati?"
Scorre, il tempo. Avanti e indietro, come un solo momento, come l'acqua del fiume che non è vero che in quell'acqua ti ci bagni una sola volta, ma ritorna ogni volta che scorre via, perché il fiume è fatto di ricordi che scorrono come le onde del mare, come la risacca... e allora la fine può essere l'inizio e l'inizio la fine, che "scompare il presente e ritorna il passato".
E senti che devi rileggerlo meglio, ma in realtà l'hai capito. Anche se non l'hai capito. E lo rileggi. Ancora una volta d'un fiato. Ti eri ripromesso di farlo con più attenzione, questa volta, con calma, soffermandoti il tempo necessario sui punti necessari... ma non ci riesci. Ancora una volta non ci riesci: il ritmo ti trascina e ti porta via, e tu scorri col fiume. E allora capisci che in effetti l'avevi capito, sentito, fruito così come era fluito lui, come il fiume che continua ininterrottamente a scorrere sotto quel ponte.
Compresi i feticci. E la processione. E quella figura sul ponte, sospesa, immobile, che poi non c'è più.
"Aspetta". "Aspettiamo che attraversino il ponte". "Adesso".
Ciao.
Sembrano parole a caso, forse, ma non è così. Ognuna è importante.
Se volete fare un gioco, così, tanto per fare, leggete La Galaverna, e poi rileggete queste parole: ognuna è importante.
Come i segni del pennino di Marco, quando diventano più radi e rarefatti.
Quando il nero diventa quasi bianco eppure è più nero che mai.
Leggete La Galaverna. E rileggetelo.
Ne vale la pena.