13 novembre 2014

FAVOLE 2.0



parte prima
come tutto era iniziato
uno

Un giorno, il re delle favole si accorse che c’era un problema.

Convocò tutti i suoi consiglieri, con una certa urgenza, per metterli a parte della cosa.

“Abbiamo un problema – gli disse – sempre meno bambini ascoltano le favole, e sempre meno genitori le raccontano.”

“in effetti – ammise il ministro dell’economia tirando fuori dalla sua valigetta montagne di fogli pieni di grafici e statistiche – si vendono sempre meno libri, e i diritti d’autore non bastano più a sostenere le nostre spese ordinarie”

“I bambini sono distratti – disse il gran ciambellano – sarà sicuramente colpa della televisione”

“E dei videogiochi – aggiunse, punto sul vivo, il ministro delle telecomunicazioni – con tutte le proposte che ci sono, tutti quei giochi corri-corri e picchia-picchia…”

“O magari è anche un po’ colpa nostra…” disse una vocina alle loro spalle.

Sulla sala cadde il silenzio.
Un silenzio denso, pesante come il piombo.



Sulla sala cadde il silenzio mentre tutte le teste, come schiaffeggiate da quelle parole, si giravano all’unisono verso il punto da cui era partita quella timida vocetta.


Prima stupiti e frastornati, poi sempre più offesi e indignati, tutti guardavano l’ometto in abito grigio che incautamente aveva pronunciato quella frase.

“E tu chi saresti? – chiesero in coro – come osi? chi ti credi di essere?”

L’ometto, imbarazzato e decisamente pentito delle proprie parole, fece un passo indietro: era un timido sottosegretario, giovane e assunto da poco.

Probabilmente fu per questo che si intromise, ignorando del tutto il protocollo secondo cui quelli importanti parlano e decidono mentre gli altri se ne stanno zitti e buoni ad annuire e a fare quello che gli viene detto di fare; anche se non sono d’accordo.

L’ometto avrebbe voluto sprofondare, sentendosi addosso gli occhi di tutti.
Avrebbe voluto rimangiarsi le parole una per una, ma ormai non c’era più niente da fare.
Non voleva far arrabbiare nessuno: aveva solo detto quello che pensava, senza pensarci su.
Lo aveva detto e basta.
Gli era scappato.

“O-o-oddio… ma che, l’ho detto davvero? – balbettò a testa bassa – s-s-scusate… io… io… n-non pensavo di averlo de-detto ad alta voce… è solo che il mondo è cambiato tanto, negli ultimi anni, e probabilmente noi non abbiamo saputo capire quel cambiamento. I bambini sono cambiati, e anche i cattivi non sono più quelli di una volta. Dico solo che magari le nostre storie sono invecchiate. Magari non sono più così attuali…”

La sala era sgomenta.
Inorridita da tanta impudenza.
Gli sguardi di rimprovero divennero sempre più intensi.
Il momento sempre più teso.

Per qualche secondo il tempo parve essersi fermato.

Finché una fragorosa risata fece girare tutti dall’altro lato della sala: sua maestà gongolava, sinceramente divertito.

“Scusate, scusate… capisco, in effetti il modo è poco ortodosso e irrispettoso del protocollo, e bla bla bla… ma dovreste vedere le vostre facce… siete un vero spasso! – cominciò il re – capisco che l’intervento ci abbia colti tutti di sorpresa, me per primo. Ma in realtà mi viene il dubbio che questo tipo, questo giovanotto, possa non avere tutti i torti… cioè, io temo… insomma, lo so che è inquietante e pauroso, ma viene davvero da chiedersi se serviamo ancora, nel mondo di oggi…”

Se già prima, con l’irrispettoso e inopportuno intervento del bizzarro ometto, tutte le persone importanti presenti in sala erano rimaste spiazzate, adesso erano decisamente scioccate.
Le loro bocche spalancate, i loro occhi sgranati disegnavano un unico grande muto OOOO!

Il re, dal canto suo, sembrava sempre più divertito.
“Tu – apostrofò l’ometto – come ti chiami?”
“P… P… Piero, sua maestà maestosa…”
“Bene, PPPiero, avvicinati!”

Timoroso, spaventato, l’ometto non si mosse.
“Ma… ma…” balbettava.

“Credo tu abbia infranto abbastanza protocolli, per oggi – suggerì un segretario del ministero della propaganda, diretto superiore del buffo ometto, che in cuor suo stava cominciando a divertirsi – sua maestà ti ha convocato: ti suggerisco di avvicinarti” e dicendolo lo spinse avanti.

L’ometto si avvicinò.
Il sovrano estrasse la spada.
L’ometto inghiottì rumorosamente la sua paura.
Il sovrano alzò la spada.
L’ometto – sempre più spaventato – ritirò la testa fra le spalle.
Il sovrano agitò la spada per aria, sopra la testa dell’ometto.
L’intera sala trattenne il fiato.

“PPPiero – disse solenne sua maestà – ti nomino ispettore speciale sull’attualità delle favole.
Hai il compito di analizzare la situazione, di individuare il problema, e di studiare le possibili soluzioni. Ovverosia un modo per rendere le nostre storie più attuali. Ci attendiamo qualche proposta entro tre settimane. Nel frattempo, prenditi un paio di giorni per pensarci, e facci sapere se hai bisogno di qualche aiuto. Vista la gravità della situazione, e l’importanza dell’argomento, chiunque in questa sala ti fornirà tutto l’aiuto e l’assistenza necessarie, per ordine del re.
Siamo tutti a tua disposizione.”

Dicendo queste ultime parole, ancora ridacchiando, il re si girò e lasciò la sala.
Tutti i presenti rifiatarono di sollievo.
PPPiero svenne.


due


Il giorno dopo.
Un ufficio qualunque del ministero della propaganda.

Ovvero… in realtà non era un ufficio qualunque… o meglio: era un ufficio “qualunque” nel senso che era un ufficio uguale a tutti gli altri uffici di quel ministero.
Grigio, spoglio e piccolo.
Insignificante.

Ma non era un ufficio qualunque.
Era un ufficio preciso: quello di PPPiero.

Vabbeh.
Ricominciamo.


due - due


Il giorno dopo.
Nell’ufficio di PPPiero, al ministero della propaganda.

C’era grande agitazione, nei corridoi, e un fuggi fuggi di gente che sbirciava incuriosita all’interno della stanzetta. Tutti volevano capire cosa sarebbe successo. Cosa si sarebbe inventato il loro ormai famoso collega per uscire da quella situazione.

E anche lui, in effetti, era curioso di scoprirlo: “e ora cosa mi invento per uscire da questa situazione? – si stava per l’appunto chiedendo – e soprattutto: perché non me ne sono stato zitto?”

In realtà se lo stava chiedendo dal giorno prima.
Dal momento esatto in cui aveva pronunciato la famosa frase.

Sua madre gli aveva sempre detto di non immischiarsi.
Suo padre gli aveva sempre consigliato di non mettersi al centro dell’attenzione.
Forse proprio per questo aveva trovato lavoro al ministero.

Era l’impiegato perfetto: tranquillo, ubbidiente, silenzioso, faceva tutto quello che gli si chiedeva di fare senza mai fare domande… e lo faceva anche bene.
Per questo i suoi superiori l’avevano sempre adorato.
O meglio: non si erano mai nemmeno accorti che esistesse.
Ed è così che dovrebbe essere.

E poi questo.
Aveva aperto bocca nel momento meno opportuno, davanti a tutti; davanti al re…
E ora il re si aspettava qualcosa da lui.

Non so se vi rendete conto: il RE in persona, proprio lui, con la corona e tutto, l’aveva chiamato e gli aveva dato un incarico!

PPPiero se ne stava lì, nella sua stanzetta, la testa fra le mani, rimuginando sconfortato su tutto questo quando ebbe un’idea.

“Ho avuto un’idea – si disse – farò esattamente quello che devo fare: creerò una commissione, che raccoglierà i dati e poi li analizzerà, e scriverà dei documenti che tanto nessuno leggerà mai perché nel frattempo si saranno dimenticati di me e tutto tornerà come prima.

Oppure potrei sempre scappare. Andare via, lontano, in un altro regno, magari… in quello dei romanzi, o delle filastrocche, dove nessuno mi conosce…”

Stava pensando tutto questo, la testa sempre fra le mani, quando Giulinda si affacciò nella stanza.

Giulinda.

Nella sua stanza.

Roba da non credere.


tre


Per capire di cosa stia parlando, dovreste sapere chi è Giulinda.
E siccome immagino non lo sappiate, ve lo racconterò.

Se già conoscete Giulinda, potete saltare questo capitolo e passare direttamente al successivo.

Ci siete?
Bene.

Allora: chi era Giulinda?
Giulinda era la ragazza più bella del regno delle favole.
O almeno: la più bella dell’ufficio.

Era tanto bella che si diceva che prima fosse una principessa.
Era tanto bella che tutti perdevano la testa per lei.
Era così bella che lei nemmeno se ne accorgeva.

Ma non era solo bella.
Era bella, e intelligente, e simpatica, e dolce… insomma, era Giulinda.
Ma così Giulinda come solo Giulinda poteva essere.

Tutto chiaro?

Bene.
Andiamo avanti.

Quindi: avevamo lasciato PPPiero con la testa fra le mani nel momento esatto in cui Giulinda si affacciava nella sua stanza…


quattro


“Tu sei Piero? Voglio dire, il famoso PPPiero?” chiese Giulinda.
“In persona!” saltò su un emozionatissimo PPPiero.
“Volevo solo dirti che sono d’accordo con te – PPPiero sembrò diventare più alto – è un pezzo che ci pensavo, e sono contenta che finalmente qualcuno abbia trovato il coraggio di dirlo – PPPiero cominciava a diventare rosso – e sappi che se hai bisogno di una mano sono a tua disposizione. Fammi sapere se posso aiutarti in qualche modo.”

E dicendo questo si disaffacciò nel corridoio, senza nemmeno aspettare una risposta.
PPPiero non avrebbe comunque risposto, essendo svenuto ben prima che lei terminasse la frase.


cinque


Stessa stanza, qualche minuto dopo.
Un bel po’ di minuti dopo, effettivamente.

PPPiero si era ripreso, ma in realtà non del tutto: “Giulinda – continuava a ripetersi – nella mia stanza… e ora? Lei si aspetta qualcosa da me… come posso deluderla? Oddio, in che situazione mi sono cacciato!”

E in effetti era vero.
E ci si era cacciato da solo!

Fino al giorno prima era solo Piero, o più spesso QuelloDell’UfficioInFondoAlCorridoio dal momento che quasi nessuno conosceva il suo nome: un qualsiasi impiegato come tanti.
Ora, improvvisamente, era PPPiero, uno di cui tutti conoscevano il nome.
Uno da cui ci si aspettava qualcosa.
Uno che aveva un compito.
Una missione!

Ebbe un’idea.
Questa volta davvero.

Prese un modulo 4756B-1224C e lo compilò diligentemente in ogni sua parte, ci scrisse sopra URGENTE a caratteri cubitali e lo consegnò alla segretaria del suo capo.
L’avventura era cominciata.

Per chi non lo sapesse, il modulo 4756B-1224C è un modulo di richiesta generica, usato generalmente per la richiesta di articoli di cancelleria (fogli, penne, matite, e cose così).
In questo caso specifico, però, la richiesta era una sola, e di tutt’altro genere: “mi serve un’assistente – aveva scritto PPPiero – proporrei per l’incarico Giulinda”.
In realtà si era proposta lei, pensandoci bene.
Ma erano sottigliezze.

Fatto sta che la richiesta fu presentata.
E, cosa sorprendente, fu accolta immediatamente.
E, cosa ancor più sorprendente, fu accolta con timbro, sigillo e firma del ministro in persona.
Ma la cosa più sorprendente di tutte, fu che chi la accolse meglio fu proprio Giulinda.

Dopo meno di mezz’ora Giulinda in persona si presentava nella stanzetta di PPPiero, tutta sorridente e bellissima come solo lei, con in mano una scatola con dentro tutta la sua roba.

“Dove la metto, questa? – chiese indicando la scatola – e dove mi metto io?”

In effetti, notò con stupore e imbarazzo PPPiero, non c’era un’altra scrivania, nella stanza.
E senza nemmeno pensarci, compilò un modulo 4758D-6161S – il modulo specifico per la richiesta di scrivanie e sedie aggiuntive – e lo inoltrò urgentemente alla stessa segretaria di prima.

Poi si bloccò: “Giulinda – pensò – nella mia stanza… e questa volta per restarci!”
E svenne un’altra volta.


sei


Era ancora svenuto quando arrivò la scrivania.
Era ancora svenuto quando portarono la poltroncina girevole ergonomica per Giulinda.
Era ancora svenuto quando Giulinda sistemò le sue cose nei cassetti e sul piano della scrivania.
Era ancora svenuto quando Giulinda gli chiese in cosa consistesse di preciso il suo nuovo incarico.

E solo allora Giulinda si accorse che era svenuto.

“Scusa – disse lui quando alla fine rinvenne – mi capita abbastanza spesso”
“Scusa, credevo fossi un tipo taciturno – rispose lei – quale sarebbe, di preciso, il mio nuovo lavoro?”

In effetti, a questo PPPiero non aveva pensato.
La sua idea era stata quella di richiedere Giulinda come assistente.
Visto l’entusiasmo con cui si era proposta di dargli una mano, aveva dato per scontato che lei sapesse già cosa fare. Il suo pensiero non era andato oltre.
Anche perché nel frattempo era svenuto un paio di volte.

Ma non si perse d’animo.
“Intanto – prese tempo – dobbiamo fare un piano; studiare una strategia”
Visto che lei sembrava reagire bene, continuò: “il nostro è un lavoro nuovo, e non esistono ancora incarichi specifici. Quindi dovremo improvvisare – si stupì lui per primo di come gli era uscita questa frase – il tuo primo compito sarà proprio fare la supervisione strategica…”
“Wow! – commentò lei.
“infatti – continuò lui – e visto che nessuno in realtà si è mai occupato prima di questo, ho bisogno da te di un punto di vista originale, di un parere sincero. Insomma, per capire se possiamo lavorare insieme, e come, vorrei prima di tutto sapere cosa pensi del tuo nuovo incarico. In quanto tuo superiore non voglio condizionarti, quindi non ti spiegherò nulla, per il momento… dimmi: tu cosa faresti? Quali credi siano le priorità, le prime cose da fare? Da dove partiresti?”

PPPiero si stupì di come ne era uscito bene. E con che tono, poi, con che sicurezza… sembrava quasi sapere quello che stava dicendo. Sembrava averci pensato, e essersi preparato il discorso. Giulinda lo guardava con ammirazione, e per la prima volta in vita sua PPPiero si sentì intelligente. “Sono un genio” pensò… e quasi svenne.
Ma questa volta riuscì a trattenersi.

Per la prima volta in vita sua.

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